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Una barca in giardino: la recensione di un’animazione sapiente

Una barca in giardino (2025) di Jean-Francois Languionie, uno dei più grandi animatori francesi, torna alla regia con un coming of age impregnato di morbidezza.

Trama

Nella Francia del Grande Est di fine anni Quaranta, François è un adolescente che vive con la madre Geneviève e il patrigno Pierre. Quest’ultimo è molto rigido e riservato, ma intrattiene un rapporto di forte intesa con la donna e man mano si scioglie anche con il protagonista. L’anello che li unirà sarà la passione per le barche, che Pierre – soprannominato “Slocum” come il celebre navigatore statunitense Joshua Slocum (il titolo originale è infatti Slocum et moi) – si porta dietro dal suo passato in marina e che François scopre quando vede il patrigno impegnarsi a costruire una barca nel giardino della loro abitazione.

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Less is more

Lo stile d’animazione di Languionie presenta sempre il suo tocco attento e posato che si esprime con colori pastello e tratti scientemente imperfetti, guidando lo spettatore in un mondo che lo avvolge e lo accoglie senza pretese. Tutto questo dipinge una narrazione che fa respirare i personaggi e gli ambienti e li lascia vivere nel racconto attraverso gli snodi narrativi tracciati.

Un viaggio dentro l’adolescenza si manifesta per mezzo del rapporto con i genitori, che, pur essendo uno strumento classico per osservare questo periodo di transizione, risulta un pezzo di un puzzle più ampio fatto anche di animazioni del viaggio del vero Slocum, momenti di riposo del protagonista nei pressi del fiume, una dolce storia d’amore e un litigio fraterno.

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Conclusione

Film come questo ricordano che, se ogni cosa è al suo posto, non servono grandi effetti speciali o stravolgimenti per coinvolgere chi guarda. Allo stesso modo, sarebbe inutile fare dei voli pindarici per descrivere una pellicola che si fonda sull’equilibrio: né troppo né troppo poco.

Senza dunque tergiversare, affrettatevi al cinema dal 13 febbraio!

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