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Pom Poko: La nostra recensione del film dello Studio Ghibli

Dopo Pioggia di ricordi, la rassegna Un mondo di sogni animati porta per la prima volta nei cinema italiani anche Pom Poko!

La terzultima opera di Takahata Isao, rilasciata nel 1994 divenendo campione d’incassi in Giappone, ci fa ridere e riflettere sugli eccessi dell’urbanizzazione, ma d’un tratto perde per strada la strutturazione narrativa.

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La storia è ambientata durante i primi anni Novanta, inizio dell’era Heisei, ossia l’ascesa al trono dell’Imperatore Akihito avvenuta l’8 gennaio 1989 e conclusasi il 30 aprile 2019, con la sua abdicazione.

Nella collina di Tama, vicino Tokyo, è in corso da qualche anno un progetto denominato Tama New Town, rivolto alla totale urbanizzazione a cui si oppongono i tanuki della zona, cani procione rappresentati nella mitologia nipponica come esseri selvaggi di indole maliziosa e scherzosa, padroni dell’antica arte del trasformismo.

Sotto la guida della matriarca Oroku e dell’anziano Seizaemon, decidono di opporsi agli esseri umani avviando un piano quinquennale di studio della natura umana e di addestramento al trasformismo. Tuttavia, sin dal primo periodo, uno dei tanuki, Gonta, mostra una certa esuberanza e propone di sfruttare le loro capacità per sabotare da subito il lavoro umano, ottenendo vari consensi. Concorde con Oroku e Seizaemon, attacca alcuni operai causandone la morte e generando dubbi tra alcuni tanuki sulle modalità d’azione del piano.

Nonostante lo spauracchio iniziale, i lavori riprendono a ritmo serrato e i tanuki decidono di inviare alcuni messaggeri per chiedere aiuto agli anziani di altre regioni. Corrono in soccorso tre tanuki dell’isola di Shikoku, la più piccola del Giappone: Kincho VI, il pelato di Yashima e Inugami Gyobu. Appena arrivati, propongono di utilizzare i loro poteri congiuntamente e inscenare una parata di spettri in città, per intimorire ulteriormente gli umani e farli fuggire.

Ciononostante, gli umani non demordono e Gyobu muore per lo sforzo eccessivo. In seguito a ciò, il pelato di Yashima fugge con alcuni tanuki incapaci di trasformarsi e Kincho VI viene avvicinato da una volpe trasformista che gli propone di fare come lui: immedesimarsi fra gli umani per sopravvivere.

Gonta, sostenuto da alcuni tanuki, tenta un ultimo attacco agli umani, ma la disfatta è inevitabile e i sopravvissuti decidono di ascoltare il consiglio della volpe, amalgamandosi con la società.

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Ne risulta un film che evidenzia l’ingordigia umana e le difficoltà cui sono regolarmente sottoposti gli animali a causa degli interventi sulla natura. L’antropomorfizzazione dei tanuki aiuta a empatizzare con questi insoliti (per un pubblico occidentale) personaggi e l’animazione è impeccabile come nella maggioranza dei film dello Studio Ghibli, però la stessa attenzione non è stata riservata alla storia: dopo metà film, diventa tutto un susseguirsi ostinato di tentate opposizioni fallimentari al genere umano senza una carica drammatica sufficiente.

Alcuni potrebbero sostenere che il punto fosse proprio quello di inscenare l’inesorabile sopraffazione degli animali da parte dell’umanità, ma si sarebbe potuto rappresentare ciò aggiungendo del carburante in più. Nonostante ciò, ne consigliamo la visione per una storia che intrattiene nella sua sgangheratezza.

Fino al 17 luglio nei cinema italiani convenzionati.

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