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La storia della Principessa Splendente: La recensione del testamento creativo di Takahata

La rassegna Un mondo di sogni animati chiude il mese di luglio con l’ultima fatica di Takahata Isao: La storia della Principessa Splendente.

Rilasciato nel 2013, è universalmente considerato il testamento creativo di Paku-san (affettuoso soprannome assegnatogli da Miyazaki), morto cinque anni più tardi. La storia si basa sul racconto popolare giapponese Taketori monogatari (Il racconto di un tagliabambù) ed ha richiesto ben otto anni di produzione.

Un giorno di primavera, un anziano tagliatore di bambù scorge una luce provenire da un fusto, aperto il quale spunta una piccola creatura luminosa dalle sembianze di una principessa. Arrivato a casa, la mostra alla moglie ed essa diviene una neonata che i due decidono di crescere come fosse una loro figlia. Nei giorni successivi si palesa una crescita rapida della bambina, la quale inizia a giocare con alcuni ragazzini che abitano la campagna in cui vivono il tagliabambù e la moglie e che le assegnano il soprannome di Gemma di bambù. Durante altre due giornate di raccolta, l’uomo intravede due fusti luminosi in cui trova varie pepite doro e delle vesti pregiate, deducendo un compito assegnatogli dal cielo: crescere la giovane come una vera e propria principessa, spostandosi nella capitale.

Qui la giovane cresce ulteriormente senza mai dimenticare la sua amata campagna e sognando costantemente di potervi tornare. Fra l’altro, nella capitale riceve il nome di Kaguya-hime (Principessa Splendente) e viene corteggiata da pretendenti di alto rango. A quest’ultimi propone delle sfide impossibili per conquistare il suo amore, col solo scopo di tenere lontano il matrimonio. Tuttavia, la storia ottiene popolarità in tutta la nazione e scatena l’interesse dell’imperatore, il quale tenta a sua volta di conquistarla. Dopo aver respinto anche l’imperatore, la Principessa Splendente fa un appello alla Luna e rivela in seguito ai genitori di provenire proprio dal satellite e che nel giro due settimane dovrà tornare lì, abbandonando la sua vita terrena.

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Il film è un susseguirsi di fotogrammi acquerellati che paiono disegnati e colorati interamente a mano e che compongono una storia in cui emerge un elemento caratteristico di molti film dello Studio Ghibli: una protagonista femminile ben costruita, sempre aperta ad apprendere e crescere e contemporaneamente forte e decisa, a differenza di narrazioni in cui il genere del personaggio viene sfruttato meramente a fini di marketing (la Disney ha fatto, purtroppo, scuola a riguardo).

Lo spettatore attraversa una storia costruita in maniera classica rispetto al film precedente di Takahata (I miei vicini Yamada) e viene condotto per mano in mezzo all’ordinarietà che il regista tenta sempre di raccontare, conservando però uno sguardo rivolto allo straordinario celato nei giorni più semplici.

Il risultato è un’opera delicata, divertente e ordita con cura.

Fino al 31 luglio nei cinema italiani convenzionati.

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