In questi giorni, DreamWorks si è presentata dinanzi al pubblico in pompa magna con un nuovo film di qualità: Il robot selvaggio.
Alla guida del progetto troviamo Chris Sanders, artista che può vantare nel suo portfolio la regia, fra le altre, di Dragon Trainer e un’appassionata collaborazione con Disney tra gli anni Novanta e i primi Duemila. Nel cast originale, inoltre, figurano attori del calibro di Lupita Nyong’o, Pedro Pascal e Mark Hamill (ai quali, in italiano, hanno prestato rispettivamente la voce Esther Elisha, Alessandro Roja e Francesco Prando).
Una robot naufraga su un’isola deserta che scoprirà essere abitata solo da animali con cui non riesce a completare il proprio obiettivo, ossia svolgere i compiti che le vengono assegnati. Al che, viene messo subito in scena un pretesto narrativo tanto semplice quanto originale: ROZZOM 7134 – nome e codice identificativo che pronuncia nella presentazione standard impiantatale nei circuiti – si iberna per un periodo sufficiente a portare a termine interpretazione e traduzione dei linguaggi animali che la circondano, in modo da poter interagire con loro e farsi assegnare dei compiti. Tuttavia, scopre preso che non basta e che gli animali in cui si imbatte la temono.
Questo fin quando non trova per puro caso un nido con alcune uova frantumate ed un unico uovo ancora intero, il quale viene subito attaccato da una volpe nelle vicinanze e presto salvato da ROZZOM. Dopo il salvataggio si schiude e ne fuoriesce una piccola oca che prende in custodia, affiancata dalla volpe che nel frattempo scopriamo chiamarsi Fink, il quale furbescamente afferma di conoscere bene le oche e il necessario per farle crescere: ecco il nuovo compito di ROZZOM 7134 – rinominata ora ROZ che suggerisce di dare un nome anche alla piccola ochetta, scegliendo infine Beccolustro.
In mezzo a tanta dolcezza, varie difficoltà e una montagna di ironia, Roz e Fink, coadiuvati da alcuni volatili dell’isola, riescono ad accudire Beccolustro e guidarlo fino al momento del volo verso le terre degli umani. Al suo ritorno, Roz sta venendo prelevata proprio da una nave spaziale umana, ma che, appresa la notizia del ritorno del suo piccolo, subito rifugge inseguita da un piccolo gruppo di robot armati. Quest’ultimi attaccano l’isola e gli animali rispondono con le unghie e con i denti, riuscendo a debellare la distruzione del loro piccolo atollo. Cionondimeno, dopo la ricostruzione dell’isola quasi rasa interamente al suolo, Roz decide di ripartire in modo da evitare un’ulteriore attacco umano.
Da un punto di vista di costruzione del racconto, la pellicola non brilla per originalità (escludendo l’interessante espediente narrativo citato poc’anzi), eppure, facendo anche uso di cliché, riesce ad assemblare il tutto dando un senso tangibile nel corso degli eventi. Per di più, si tratta di un’opera che ha moltissimo da insegnare in fatto d’animazione, con una pletora di frame tanto digitali quanto quasi tinteggiati su tele reali.
Uno stile fresco solo apparentemente costruito sulla falsa riga della rivoluzione avviata con Spider-Man: Into the Spider-Verse nel 2018. Come se non bastasse la colonna sonora calza a pennello ed accompagna una riflessione per nulla scontata sulla maternità, trasmettendo al proprio target di riferimento – i bambini – una prospettiva diversa dalla solita retorica della madre come focolare.
Insomma, è una perla non da poco e perdersela equivale a commettere un grave errore: dal 10 ottobre al cinema!