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I miei vicini Yamada: La recensione di un esperimento dello Studio Ghibli

La rassegna Un mondo di sogni animati si avvicina alla sua conclusione con il penultimo sforzo che vede al centro un ulteriore approdo inedito per le sale italiane: I miei vicini Yamada.

La pellicola è penultima anche nella filmografia di Takahata Isao, rilasciata nel 1999 senza ottenere il successo dei suoi film precedenti ma confermando lo spirito libero incarnato dal regista, il quale, nel corso della sua carriera, si è sempre dedicato a seguire la propria visione creativa senza accettare compromessi esterni.

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L’opera prende spunto dal manga yonkoma intitolato, per l’appunto, I miei vicini Yamada (divenuto poi Nono-chan a causa del maggiore successo del personaggio di Nonoko): Takashi e Matsuko (marito e moglie) vivono con i loro due figli, Noboru (bambino di circa 13 anni) e Nonoko (bambina di circa 7 anni), e la madre della donna, Shige.

Prima di esplicare i contenuti del film, è opportuno soffermarsi sulle caratteristiche fondamentali di uno yonkoma: quattro vignette compongono la striscia a fumetti, il tono è solitamente umoristico e la struttura narrativa è quella più diffusa nell’Estremo Oriente, ossia il Kishōtenketsu (起承転結). Non a caso, tale struttura narrativa è composta proprio da quattro parti: 起 (ki, letteralmente “introduzione”), che serve per presentare i personaggi e il mondo narrativo; 承 (shō, “sviluppo”), che rifinisce la trama; 転 (ten, “svolta”), che presenta una situazione inattesa e fa riflettere il lettore; 結句 (ketsu, “conclusione”), che chiude la storia tirando le fila degli eventi.

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Il film ricalca notevolmente la struttura di riferimento del manga da cui è tratto, costituendo una raccolta di episodi che non sono altro se non gruppi di vignette, le quali rappresentano la vita quotidiana della famiglia Yamada: Takashi, Matsuko, Noboru, Nonoko e Shige sono alternatamente protagonisti di bisticci, risate e mondanità, tinteggiati da alcuni haiku del poeta Seicentesco Bashō Matsuo. Il tono leggero della narrazione è supportato dallo stile di animazione, il quale sembra sia rivolto a dare vita ai tratti del manga, formando un’opera dall’estetica inconsueta rispetto alla ricerca della perfezione strutturale ed estetica che lo Studio Ghibli ha sempre condotto per tutti suoi i film.

Tuttavia, non può essere trascurato un notevole contraccolpo delle scelte creative di Takahata: la non-linearità della storia. Questo non è per forza un problema, in quanto è opportuno che la volontà artistica abbia totale libertà, ma spiega alla perfezione il mancato successo della pellicola tanto nel panorama nazionale quanto in quello internazionale.

Al di là di ciò, è sicuramente un esperimento che merita di essere goduto su una comoda poltrona, con qualche popcorn in mano e tante risate.

Fino al 24 luglio nei cinema italiani convenzionati!

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