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A Real Pain: La nostra recensione di un ottimo secondo film

Due cugini statunitensi partono verso la Polonia per elaborare il lutto della loro nonna e trasformano il viaggio in un’esplorazione delle proprie radici: questo è A Real Pain (2024) di Jesse Eisenberg.

Trama

David (Jesse Eisenberg) e Benji (Kieran Culkin) sono due cugini diametralmente opposti: il primo vive e lavora a Brooklyn con una moglie e un figlio; il secondo è uno spirito libero scapestrato. Li lega un’infanzia trascorsa assieme, seppure da tempo hanno preso strade diverse. La morte della nonna Dory è l’evento che li riunisce alla volta della Polonia, per scavare a fondo nel passato ebraico della loro nonna e, parallelamente, del loro albero genealogico. Atterrati a Varsavia, prendono parte a un tour della memoria sul suolo polacco, insieme a un gruppo che gli farà da famiglia durante il soggiorno: la guida turistica James, la donna in carriera Marcia i cui nonni sono fuggiti dalla Shoah, i coniugi Mark e Diane con sangue ebraico-polacco ed Eloge, sopravvissuto al genocidio del Ruanda e convertito al giudaismo in Canada.

Fra visite nei luoghi della capitale animati un tempo dagli ebreo-polacchi e l’attraversamento di un campo di concentramento fuori città, i due cugini vivono momenti tragicomici e affrontano i propri caratteri in attrito.

006 Jesse Eisenberg and Kieran Culkin in A REAL PAIN

Un ottimo secondo film

Dopo un debutto apprezzato nei circoli del cinema indipendente degli Stati Uniti dal titolo When You Finish Saving the World (2022), Eisenberg torna alla regia con film che mescola il buddy movie al road movie. Nonostante una regia elementare e che non osa mai, l’opera funziona grazie a una buona scrittura che dialoga con delle altrettanto buone interpretazioni, sia dei due cugini – fra cui Culkin è il più papabile alla vittoria dell’Oscar come migliore attore non protagonista – sia del gruppo di viaggio. Le dinamiche generate non sono mai forzate e, pur avventurandosi nel già noto, riescono a confezionare un prodotto che intrattiene con la giusta dose di riflessioni.

Inoltre, l’approccio al racconto della Shoah è simile a quello di The Zone of Interest (2023) di Jonathan Glazer, in quanto viene tratteggiata senza essere esposta in pubblica piazza. Le differenze ovviamente sono notevoli: il film di Glazer si svolge proprio durante gli anni del nazismo e il protagonista è un gerarca che vive con la propria famiglia a due passi dagli stermini e che noi seguiamo attraverso una macchina da presa che resta nei limiti della loro abitazione o, al massimo dei loro volti; il film di Eisenberg prende piede ai giorni nostri, giocando con una memoria che viene ripercorsa senza flashback e che solo attraverso una visita in un campo nazista si rende leggermente più esplicita.

FROML1

Conclusione

Il risultato finale è un giusto connubio fra il macrocosmo dell’elaborazione del lutto e della sindrome del sopravvissuto da un lato e il microcosmo del rapporto tra cugini dall’altro. Un film che si fa strada attraverso l’uso della parola e, forse proprio per questo, crea immagini nitide ed eloquenti.

Lo trovate in quasi tutte le sale italiane!

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